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lunes, diciembre 23, 2013

Profetas de desgracias . . . que se cumplen

A veces nos dicen que nuestras profecías son algo calamitosas . . . Lamentablemten, se cumplen. Avisamos que si se seguía difundiendo la mentalidad pro-gay&tc., vendrían cosas peores. Pues, ya está.

Leed. En Italia.

La sentencia que abre la puerta a la pedofilia

PI45262-hr
La Corte Suprema Italiana ha justificado a un hombre de 60 años que mantuvo relaciones con la niña de 11 años que tenía en acogida porque la niña “estaba enamorada”. Lea la sentenciaaquí.
El caso es el de un hombre de 60 años de edad, empleado en los servicios sociales municipales, condenado en apelación a cinco años de prisión porque se  le encontró en actitud íntima con una niña de 11 años que se le había confiado en acogida. Los jueces de la Corte Suprema de Justicia anularon parcialmente la resolución de la Corte de Apelaciones.
Para entender por qué nos fijamos en el número 6 de la “exposición de motivos“: El Tribunal Supremo quiere que al caso se le aplique el atenuante del artículo 609, apartado 4. ” En concreto, el atenuante debe ser aplicado por el consentimiento dado por la chica, que es el hecho de que la pequeña no sufrió ningún tipo de coacción, porque “estaba enamorada“. En resumen, el Tribunal Supremo consideró mal que los jueces de la apelación no hubieran aplicado el atenuante de consentimiento por parecerles irrelevante dada la edad de la víctima.
El Tribunal de Apelaciones había resuelto que “la circunstancia atenuante de que se trata no podía ser reconocida porque había habido acceso carnal y porque era una niña menor de catorce años, cuyo consentimiento no es válido.” En otras palabras, lo que es importante para los tribunales de apelación y el Código Penal a los efectos de la configuración penal de la hipótesis es el hecho en sí, con o sin el consentimiento de la víctima.
En lo que respecta al “consentimiento” proporcionado por la niña de once años, el art. 609 cc tipifica el delito, incluso si la víctima consiente, precisamente para evitar el atenuante en los casos en que, debido a la inmadurez de la persona involucrada, el consentimiento no puede ser válido. Lo que quiere decir, que si hubiera habido violencia, la pena habría sido aún más grave (artículo 609-ter, apartado 1, no. 1). En resumen, el Tribunal de Apelación se limitó a cumplir la ley.
La Corte Suprema identificó “razones de mitigación y absorción” . La primera sería que “el acto sexual era parte de una relación amorosa, y que [...] el mismo que en el presente caso no se pudo considerar invasivo porque en la que la hipótesis legal se hace con la fuerza y la violencia y en este caso en cambio forma parte de una historia de amor “. En este punto tenemos que detectar al menos dos críticas:
En primer lugar, el Tribunal de Apelaciones dijo que hablar de “amor” entre un hombre de sesenta y una niña de once años es “antinatural” y es una locura que se lo considere un factor atenuante.
En segundo lugar, la Corte Suprema consideró la ausencia de la violencia como una razón para la mitigación de la pena, pero el Código Penal en su lugar lo trata como un caso separado. Es una sutileza, pero es un problema de sustancia. La ley dice que si usted tiene relaciones adultas con un menor de 14 años de edad que no se rebela es muy grave (artículo 609 quater). Además, si ha habido violencia es aún más grave y la pena se incrementa (artículo 609-ter, apartado 1, no. 1).
Las disposiciones del Código Penal no hablan de las circunstancias atenuantes, donde no hay violencia, sino que hablan en tono serio (sin violencia) y más grave (con violencia), que las distinguen en dos delitos separados.
Si seguimos la lógica de la sentencia del Tribunal Supremo , entonces deberíamos derogar el artículo. 609 quater de la misma frase porque quieren suprimir sus propias peculiaridades: la ilegalidad de los actos sexuales con un menor de 14 años, incluso si es consentida. Pero tal vez la Corte Suprema de Justicia quiere borrar el delito de la pedofilia…

domingo, diciembre 22, 2013

Ex secretario del Papa Benedicto XVI

Entrevista conmovedora.

Monsignor Alfred Xuereb: Quando Papa Benedetto suonò il canto natalizio della mia Malta.

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“Guardare i Papi in contrapposizione impoverisce perché si perdono gli aspetti belli e arricchenti significativi delle loro personalità.”
Monsignor Alfred Xuereb parla per esperienza diretta. Per quasi sei anni è stato nella segreteria particolare di Benedetto XVI, e dal marzo di quest’anno è al servizio di Papa Francesco. Un lavoro discreto e solerte. É stato proprio Papa Benedetto a offrire al suo successore il monsignore maltese  come possibile segretario.
“Sono stato con Benedetto XVI fino a tre giorni dopo l’elezione di Papa Francesco- racconta- poi sono venuto in Vaticano, a Santa Marta. Il giorno che sono partito lo ricordo minuto per minuto, perché è stato un momento molto particolare per me. Per quasi sei anni sono stato accanto ad una persona molto speciale, che mi ha voluto bene come un padre, che mi ha permesso di beneficiare di una confidenza rispettosa ma intima. Poi è arrivato il giorno del doloroso distacco.”
Don Alfred ha una lunga esperienza al servizio dei pontefici. É stato Prelato di anticamera negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, poi nella segreteria particolare di Benedetto XVI e ora è al fianco di Francesco. La sua discrezione quasi britannica magari non lo ha fatto conoscere al grande pubblico, ma in Vaticano il suo sorriso e la sua affabilità sono molto apprezzati: “ In sintonia con lo stile di Papa Francesco e per sbrigare con serenità la mole considerevole di pratiche che giungono alla Segreteria Particolare, come d’altronde in tutti gli altri uffici, si predilige il lavoro di scrivania” spiega. Papa Francesco lo ha anche recentemente delegato a vigilare e tenerlo informato sul lavoro della Commissione referente sullo IOR e sulla Commissione di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede.
Nato a Victoria nel 1958, sacerdote dal 1984, ha studiato prima a Gozo e poi all’Istituto di Spiritualità del Teresianum a Roma, ha vissuto un anno di lavoro a Münster, in Germania. Dal 1991 al 1995 è stato segretario del rettore della Università Lateranense, ha lavorato poi in Segreteria di Stato e nella Prefettura della Casa Pontificia.

A qualche mese dagli eventi che hanno cambiato la storia don Alfred ci racconta come li ha vissuti, ma soprattutto apre le pagine dei ricordi per raccontare Benedetto XVI visto da vicino. Il racconto dei giorni di marzo è ricco di intensità.

“Benedetto XVI aveva scritto una bellissima lettera di cui mi ha consegnato una copia che conservo come un prezioso gioiello, nella quale ha menzionato al nuovo Papa alcuni miei pregi. Magari nella sua bontà ha voluto evitare di elencare i miei difetti, assicurando al nuovo Papa che mi aveva lasciato libero, poiché il nuovo Papa non osava chiedere di sottrarmi a Lui. Del resto era forse l’unico tra 115 cardinali che non aveva un segretario suo. Io ricordo anche il momento in cui ho fatto le valigie. Mi dicevano: affrettati il Papa ha bisogno di un segretario, sta aprendo lui  stesso le lettere, è solo. Io non sapevo niente di quello che succedeva a Santa Marta.”

Ma lei come ha salutato il Papa emerito?
“Il momento più toccante è stato quando sono entrato nel suo ufficio a Castelgandolfo per salutarlo personalmente. Poi c’è stato l’ultimo pranzo, ma il momento privato è stato intensissimo. Io piangevo e gli ho detto, come riuscivo, con un nodo alla gola: Santo Padre per me è molto difficile distaccarmi da Lei, io la ringrazio tantissimo per quello che Lei mi ha donato in questi anni, per la sua grande paternità. Lui si è alzato dalla scrivania e, mentre gli baciavo l’anello che ormai non era più quello del Pescatore, ha sollevato sulla mia testa la mano destra e mi ha benedetto.”

I ricordi sono tanti e sgorgano dal cuore del sacerdote vividi e intensi.

“ Una volta- racconta don Alfred-eravamo a Castelgandolfo, ci fu un incontro con seminaristi e sacerdoti. Uno dei sacerdoti aveva fatto notare come fosse difficile seguire i ritmi della preghiera. Perché la parrocchia era grande e c’era tanta gente da seguire. E diceva, quasi scusandosi, che non riusciva sempre a pregare il breviario, perché magari doveva accudire i fedeli. Forse attendeva quasi una approvazione. Invece il Papa gli ha detto: questa tua premura pastorale è molto lodevole, ma ricordati che anche quando preghi il breviario stai facendo una azione pastorale perché stai pregando per i tuoi parrocchiani. Come è importante aiutare una persona ascoltandola e facendo cose concrete per venirle incontro, è altrettanto importante aiutarla e sostenerla con la tua preghiera. Questo i parrocchiani lo apprezzano tanto quando vengono a saperlo. E così il Papa ha incoraggiato il parroco a non trascurare la Liturgia delle Ore.”

Una paternità che la “famiglia del Papa”, di cui don Alfred ha fatto parte, ha vissuto in tanti gesti quotidiani che dimostrano la umanità e semplicità di Benedetto XVI. Nelle richieste di preghiera,  ad esempio, Ratzinger ha proseguito alcune abitudini di Giovanni Paolo II, che chiamava sempre semplicemente, il Papa.
“Ogni giorno arrivavano numerose lettere con richieste di preghiera a Papa Benedetto. Succedeva lo stesso con Giovanni Paolo II ed era un compito di don Mietek, che io ho ereditato, quello di prepararle su un fogliettino per il Papa. Arrivavano alla segreteria particolare tante richieste di persone malate e il Papa rimaneva impressionato di quante famiglie vivessero questo dramma, pensando non solo al malato, ma anche a tutta la famiglia che giorno e notte, Natale e Pasqua, estate ed inverno doveva accudire il familiare infermo. E poi c’era l’angoscia per i bambini. Il Papa, che pure ha mille pensieri, considerava la sua preghiera per i malati un ministero pastorale importantissimo. Mettevo i fogliettini in cappella sul suo inginocchiatoio, e so che Benedetto li sfogliava e li rileggeva conservandoli nel cassettino. Mi sorprendeva quando, dopo qualche giorno, mi chiedeva se avevo avuto notizia di qualcuno dei malati che conoscevo personalmente.”

E poi il raccoglimento prima della messa: “La messa iniziava alle 7.00, ma ci furono dei giorni in cui si sentiva l’orologio del cortile di San Damaso che suonava l’ora ma lui rimaneva in raccoglimento. Ricordo un periodo in particolare, che si fermava a lungo anche dopo l’orario di inizio. Avevo la netta sensazione che stesse pregando per una intenzione particolare. Forse era il momento del travaglio interiore che lui ha avuto prima di arrivare all’eroica decisione della rinuncia. Era un raccoglimento molto particolare.”

Nella vita quotidiana c’erano anche momenti speciali di festa come il Natale. Ricorda il suo primo Natale con Papa Benedetto?
benedetto-canta“Eravamo intorno all’albero con le candele accese come si usa in Germania. Cantavamo i canti natalizi in tedesco in latino e in italiano. Ad un certo momento il Papa si gira verso di me e mi dice: il suo predecessore, don Mietek, ci cantava qualche canto in polacco, lei ne ha qualcuno maltese?
Io avevo degli spartiti dei canti popolari nostri, in particolare uno che è il più tradizionale: Ninni la Tibkix Izjed, Ninna nanna a Gesù, non piangere più. Si canta sempre. Corsi nel mio ufficio presi gli spartiti e fu grande la mia sorpresa e la mia emozione quando il Papa prese gli spartiti e si mise al pianoforte a suonare. Sentendo questa melodia suonata dal Papa ancora oggi il pensiero mi emoziona. La vigilia di Natale dopo cena, in attesa della messa, ci riunivamo attorno all’albero acceso, il Papa prendeva il brano del Vangelo della natività di Gesù e lo leggeva, poi ci scambiavamo gli auguri. Mi spiegò che ogni padre di famiglia in Baviera fa così. Mi piaceva arricchire la grande religiosità maltese popolare con quella della Baviera.”

A tavola e dopo i pasti o magari dopo le passeggiate nei Giardini Vaticani per la recita del Rosario il Papa e i suoi segretari parlavano delle udienze del giorno, delle persone incontrate, talvolta anche delle critiche che arrivavano da fuori e dentro la Chiesa. “L’ho visto dispiaciuto certo, ma non contrariato. Non l’ho mai sentito dire una frase di sdegno. Quando ci fu la triste vicenda del nostro Aiutante di Camera, che trattava come un figlio, ha manifestato il suo dispiacere per la sua famiglia e per lui stesso. Ma mai una parola di indignazione.”

Don Alfred lei era con Papa Benedetto quando Papa Francesco appena eletto lo ha chiamato al telefono?
“Benedetto ha vissuto con molta aspettativa il conclave e l’elezione del nuovo Papa, era ansioso di sapere chi gli sarebbe succeduto. Abbiamo pregato intensamente sentendoci uniti a tutta al Chiesa che invocava lo Spirito Santo. Il momento dell’ “annuntio vobis gaudium magnum” lo abbiamo seguito in tv. É stato molto commovente essere presente alla telefonata che il nuovo Papa ha fatto a Papa Benedetto. Gli ho passato il cordless, sentivo Benedetto XVI dire: “La ringrazio Santo Padre e -già sentire Benedetto che dice questo suscitava ammirazione- la ringrazio che abbia subito pensato a me e prometto fin d’ora la mia obbedienza e la mia preghiera.”
Queste parole dette da una persona con la quale ho vissuto, perché era il mio Papa, sentirgli dire questo, ecco ne rimasi molto edificato.”

Come ha vissuto la decisone della rinuncia?
“Il mio timore era una incomprensione e magari una condanna generale. Temevo che si potesse dire: ha iniziato un’opera e non ha avuto il coraggio di completarla! Invece io vedo ancora oggi la sua eroicità proprio in questo, lui non ha badato a questo rischio. Era convinto di quello che il Signore gli stava chiedendo in quel momento: io non ho più forze per continuare la mia missione, la mia missione è conclusa, affido a qualcun’ altro che ha più energie di me il compito di portare avanti la Chiesa. Perché la Chiesa non è del Papa, ma di Cristo. Chi ama la Chiesa considera tale decisione “un grande atto di governo””.

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia?
“Mentre mi comunicava la notizia mi veniva subito di dirgli: No, Santo Padre, perché non ci pensa un po’!
Poi ho frenato me stesso e mi sono detto: ma chissà da quanto tempo ci pensa! E mi sono passati nella mente, come in un baleno, i momenti di preghiera prima della messa, lunghi e raccolti.
E l’ho lasciato parlare, lo ascoltato smarrito. Era tutto ben deciso, quando comunicarlo e come. E mi ha detto: Lei andrà con il Papa nuovo. E me lo ha ripetuto per ben due volte, al punto che stavo per dirgli: sarei disposto, ma chi sa se il nuovo Papa mi vorrà?”

Qualcuno pensa che Benedetto XVI sia stato un Papa troppo intellettuale, con la testa solo sui libri.

“Considero il Papa emerito con una personalità costituita da due dimensioni che potrebbero sembrare contrastanti, e invece sono complementari. Da una parte è un gigante di intelletto, di profondità teologica, filosofica, liturgica, biblica… e dall’altra parte, grazie alla sua crescita in una famiglia normale e senza fronzoli in Baviera, è rimasto un uomo semplice con lo sguardo di un bambino evangelico. Due parti che rendono la personalità ancora più completa. E la sua discrezione è un modo per non sopraffare l’altro, anzi fa sempre lo sforzo di tirare fuori il bene che ha l’altro e il suo carattere affinché si crei una sintonia. Ecco l’arte di rapportasi con gli altri che Benedetto XVI mi ha insegnato.”

C’è una parola che meglio descrive Benedetto XVI?

“Non voglio racchiudere Papa Benedetto in una parola o una frase, perché sarebbe come tentare di racchiudere una intera città sotto una campana di vetro. Ma la parola che io ho sentito di più pronunciare da Papa Benedetto è: grazie! In continuazione. Lo aiutavamo a vestirsi per la messa, gli davamo la croce pettorale, e lui: grazie. Gli portavo il bastone: grazie! Gli toglievo il bastone: grazie! Una volta, quando ero Prelato di Anticamera, stavamo attendendo un ospite nella biblioteca, e mi permisi di fargli un complimento per una omelia che aveva appena fatto. Mi colpì molto il modo con cui lo ha accettato. Innanzi tutto lo ha accettato. E, con umiltà, ha abbassato gli occhi e mi ha detto: grazie! Dagli scritti di Benedetto XVI possiamo imparare tanto, perché è un grande maestro, ma non senza sceglierlo come modello di vita.”

sábado, diciembre 21, 2013

¿Qué significa respetar la identidad católica de una escuela o universidad?

Del 17 al 20 de diciembre fuimos a un Simposio sobre Universidades Católicas, acompañado por la mayoría de mis ayudantes en la UC. Fue una experiencia de estudio, debate y sinceridad.

Ahora aparece este documento.

Leed.


12/19/2013 

Universidad católica sin identidad es “mentirosa e hipócrita”

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universidades y escuelas católicas
universidades y escuelas católicas

La Santa Sede presentó el documento “Educar al diálogo intercultural en la escuela católica. Vivir juntos para una civilización del amor”

Andrés Beltramo Álvarez Ciudad del Vaticano  
Las universidades y escuelas católicas que pierden su identidad se convierten en mentirosas e hipócritas. Es la queja de muchos padres de familia. Un verdadero problema, según el prefecto de la Congregación para la Educación Católica del Vaticano, Zenon Grocholewski. Este día el cardenal advirtió que tanto la ideología de género como el feminismo radical son incompatibles con la enseñanza en instituciones de la Iglesia. Y se refirió, aunque indirectamente, al problema de la ex Pontificia Universidad Católica del Perú.
 
 
El purpurado habló de la identidad en el ámbito de los centros educativos religiosos durante la presentación del documento Educar al diálogo intercultural en la escuela católica presentado en la sala de prensa de la Santa Sede. El texto fue redactado para orientar los procesos de formación en un mundo cada vez más multicultural y secularizado.
 
 
A menudo los padres de familia critican a las escuelas católicas, yo he recibido muchas críticas, han llegado padres que me dicen: yo mando a mis hijos a la escuela católica porque quiero que tenga la formación católica. Si la escuela católica no me ayuda a educarlos cristianamente es mentirosa, hipócrita, porque se llama católica y en realidad no es católica. Esto es un problema, reconoció.
 
 
Además se mostró preocupado por la agresiva educación sexual que se está intentando imponer en escuelas de muchos países, gracias a la cual los niños aprenden a usar anticonceptivos a edades muy tempranas. Lo mismo, sostuvo, ocurre con la teoría del género que es considerada nociva no sólo por la Iglesia.  
 
 
Al respecto citó el artículo de una estudiosa alemana que calificó a esa teoría como una ideología de destrucción y al feminismo radical como un radical egoísmo. El género se interpreta como el non serviam, la mujer no quiere servir a Dios, ni al marido, ni a los hijos, quiere ser hombre y salir del ser madre, puede hacer nacer al hijo pero no acudirlo, precisó el cardenal.
 
 
Insistió que, en todo caso, la escuela católica que se deja influenciar por estas corrientes está mal, es una entidad que no se da cuenta de su propia misión.
 
 
Entonces se le planteó el caso de las universidades que, siendo abiertamente pontificias y católicas, son utilizadas como plataforma para expandir y promover estas tendencias contrarias a los valores cristianos, utilizando como excusa la libertad de cátedra.
 
 
Sobre el particular Grocholewski respondió: Ciertamente nosotros, la Santa Sede, no tenemos policía y no mandamos a la policía en estos casos. Buscamos con diálogo, convencimiento y en ocasiones con procedimientos, intentamos sanar. De hecho en algún caso se hizo necesario declarar a alguna institución ya no nuestra.
 
 
Pero, cuando algo está enfermo, existen dos caminos: asesinar directamente o sanar. Nuestra política es siempre sanar las instituciones, añadió, en una referencia aplicable a la situación -todavía no resuelta- de la universidad del Perú a la cual El Vaticano prohibió (en julio de 2012) utilizar sus títulos de pontificia y católica justamente por negarse a adherir a las constitución apostólica Ex corde ecclesiae, el documento papal que rige a todas las instituciones católicas de educación superior en el mundo.

Según el cardenal actualmente aumentan los estudiantes de las universidades que han reforzado o refuerzan su propia identidad y por el contrario pierden alumnos aquellas que se han vuelto poco claras. Las primeras crecen en prestigio, las segundas se vuelven poco atractivas porque que la gente quiere ser clara y cuando elige a la universidad católica es por su naturaleza, apuntó. E insistió: Eso no ocurre cuando la institución no se sabe si es perro o gato, incierta.
 
 
Los padres que llevan a sus hijos a una escuela católica deberían ser informados sobre la naturaleza de la institución en la cual se transmiten los valores católicos. Respetamos la religión y la conciencia de vuestros hijos, los acogemos con amor pero transmitiremos los valores cristianos porque somos católicos. Tu haz elegido esta escuela católica, debes respetar su propia identidad, estableció.

domingo, diciembre 15, 2013

Entrevista al Papa

Esta entrevista deja claro que el Papa no quiere hablar de cosas técnicas, sino de doctrina social de la Iglesia cuando se refiere a temas económicos. Reconozco que, para mí, la Navidad es un tiempo para ver el cotraste entre la alegría cristiana de cada día y la tristeza mundana que busca la felicidad donde no se encuentra.

Leed.


Vatican Insider

"Jamás tener miedo a la ternura"

La entrevista con papa Francisco sobre la Navidad, el hambre en el mundo, el sufrimiento de los niños, la reforma de la Curia, mujeres cardenales, IOR y el próximo viaje a Tierra Santa

«La Navidad para mí es esperanza y ternura...». Francisco cuenta a “La Stampa” y a "Vatican Insider" su primera Navidad como Obispo de Roma. Casa Santa Marta, martes, 10 de diciembre, 12.50 hrs. El Papa nos recibe en un salón junto al refectorio. El encuentro duró una hora y media. En dos ocasiones, durante la conversación (al hablar sobre el sufrimiento inocente de los niños y sobre el hambre en el mundo), desapareció del rostro de Francisco la serenidad que todo el mundo conoce.
En la entrevista el Papa también habló sobre las relaciones con las demás confesiones cristianas y el «ecumenismo de la sangre» que une en la persecución, aludió a la situación del matrimonio y la familia (de la que se ocupará el próximo Sínodo), respondió a quienes lo han criticado en los Estados Unidos (definiéndolo “marxista”) y también habló sobre la relación entre la Iglesia y la política.


¿Qué significa para usted la Navidad?

Es el encuentro con Jesús. Dios siempre ha buscado a su pueblo, lo ha guiado, lo ha custodiado, ha prometido que le estará siempre cerca. En el Libro del Deuteronomio leemos que Dios camina con nosotros, nos guía de la mano como un papá con su hijo. Esto es hermoso. La Navidad es el encuentro de Dios con su pueblo. Y también es una consolación, un misterio de consolación. Muchas veces, después de la misa de Nochebuena, pasé algunas horas solo, en la capilla, antes de celebrar la misa de la aurora, con un sentimiento de profunda consolación y paz. Recuerdo una vez aquí en Roma, creo que era la Navidad de 1974, en una noche de oración después de la misa en la residencia del Centro Astalli. Para mí la Navidad siempre ha sido esto: contemplar la visita de Dios a su pueblo.


¿Cuál es el mensaje de la Navidad para las personas de hoy?

Nos habla de la ternura y de la esperanza. Dios, al encontrarse con nosotros, nos dice dos cosas. La primera: tengan esperanza. Dios siempre abre las puertas, no las cierra nunca. Es el papá que nos abre las puertas. Segunda: no tengan miedo de la ternura. Cuando los cristianos se olvidan de la esperanza y de la ternura se vuelven una Iglesia fría, que no sabe dónde ir y se enreda en las ideologías, en las actitudes mundanas. Mientras la sencillez de Dios te dice: sigue adelante, yo soy un Padre que te acaricia. Tengo miedo cuando los cristianos pierden la esperanza y la capacidad de abrazar y acariciar. Tal vez por esto, viendo hacia el futuro, hablo a menudo sobre los niños y los ancianos, es decir los más indefensos. En mi vida como sacerdote, yendo a la parroquia, siempre traté de transmitir esta ternura, sobre todo a los niños y a los ancianos. Me hace bien, y pienso en la ternura que Dios tiene por nosotros.


¿Cómo es posible creer que Dios, considerado por las religiones como infinito y omnipotente, se haga tan pequeño?

Los Padres griegos la llamaban "synkatabasis", condescendencia divina. Dios que desciende y está con nosotros. Es uno de los misterios de Dios. En Belén, en el 2000, Juan Pablo II dijo que Dios se convirtió en un niño que dependía totalmente de los cuidados de un papá y de una mamá. Por esto la Navidad nos da tanta alegría. Ya no nos sentimos solos, Dios descendió para estar con nosotros. Jesús se hizo uno de nosotros y sufrió por nosotros el final más terrible en la cruz, el de un criminal.


A menudo se presenta la Navidad como una fábula de ensueño. Pero Dios nace en un mundo en el que también hay mucho sufrimiento y miseria…

Lo que leemos en los Evangelios es un anuncio de alegría. Los evangelistas describen una alegría. No hacen consideraciones sobre el mundo injusto, sobre cómo pudo nacer Dios en un mundo así. Todo esto es fruto de nuestra contemplación: los pobres, el niño que nace en la precariedad. La Navidad no fue una denuncia de la injusticia social, de la pobreza, sino un anuncio de alegría. Todo lo demás son conclusiones que sacamos nosotros. Algunas correctas, otras menos y otras más ideologizadas. La Navidad es alegría, alegría religiosa, alegría de Dios, interior, de luz, de paz. Cuando no se tiene la capacidad o se está en una situación humana que no te permite comprender esta alegría, se vive la fiesta con alegría mundana. Pero entre la alegría profunda y la alegría mundana hay mucha diferencia.


Es su primera Navidad como Obispo de Roma, en un mundo lleno de conflictos y guerras…

Dios nunca da un don a quien no es capaz de recibirlo. Si nos ofrece el don de la Navidad es porque todos tenemos la capacidad para comprenderlo y recibirlo. Todos, desde el más santo hasta el más pecador, desde el más limpio hasta el más corrupto. Incluso el corrupto tiene esta capacidad: pobrecito, la tiene un poco oxidada, pero la tiene. La Navidad en este tiempo de conflictos es un llamado de Dios, que nos da este don. ¿Queremos recibirlo o preferimos otros regalos? Esta Navidad en un mundo afectado por las guerras me hace pensar en la paciencia de Dios. La principal virtud de Dios, indicada en la Biblia, es que Él es amor. Él nos espera, no se cansa nunca de esperarnos. Él da el don y después nos espera. Esto sucede en la vida de cada uno de nosotros. Hay algunos que lo ignoran. Pero Dios es paciente y la paz, la serenidad de la noche de Navidad, es un reflejo de la paciencia de Dios hacia nosotros.


En enero se cumplen cincuenta años del histórico viaje de Pablo VI a la Tierra Santa. ¿Usted va a ir?

La Navidad siempre nos hace pensar en Belén, y Belén está en un punto preciso, en la Tierra Santa donde vivió Jesús. En la noche de Navidad pienso, sobre todo, en los cristianos que viven allí, en los que están en dificultades, en todos los que han tenido que abandonar esa tierra por diferentes problemas. Pero Belén sigue siendo Belén. Dios vino a un punto determinado, a una tierra determinada, apareció allí la ternura de Dios, la gracia de Dios. No podemos pensar en la Navidad sin pensar en la Tierra Santa. Hace cincuenta años, Pablo VI tuvo la valentía para salir e ir allá, y así empezó la época de los viajes papales. Yo también deseo ir, para encontrarme con mi hermano Bartolomeo, Patriarca de Constantinopla, y conmemorar con él este quincuagésimo aniversario renovando el abrazo de 1964 entre Papa Montini y Atenágoras en Jerusalén. Nos estamos preparando.


Usted ha estado en muchas ocasiones con niños gravemente enfermos. ¿Qué puede decir ante este sufrimiento inocente?

Para mí, Dostoyevski ha sido un maestro de vida, y su pregunta, explícita e implícita, siempre ha rondado mi corazón: ¿por qué sufren los niños? No hay explicación. Me viene esta imagen: en cierto momento de su vida, el niño se “despierta”; no entiende muchas cosas, se siente amenazado, empieza a hacer preguntas a su papá o a su mamá. Es la edad del “por qué”. Pero cuando el hijo pregunta, luego no escucha todo lo que le tienes que decir y te acorrala con nuevos “por qué”. Lo que busca, más que una explicación, es la mirada del papá que le da seguridad. Frente a un niño que sufre, la única oración que me viene es la oración del “por qué”. ¿Señor, por qué? Él no me explica nada, pero siento que está viéndome. Entonces puedo decir: “Tú sabes por qué, yo no lo sé y Tú no me lo dices, pero me ves y yo confío en Ti, Señor, confío en tu mirada”.

Al hablar sobre el sufrimiento de los niños, no se puede olvidar la tragedia de quienes sufren hambre.

Con la comida que dejamos y tiramos podríamos dar de comer a muchísima gente. Si lográramos no desperdiciar, reciclar la comida, el hambre en el mundo disminuiría mucho. Me impresionó leer una estadística que habla de 10 mil niños que mueren de hambre cada día en el mundo. Hay muchos niños que lloran porque tienen hambre. El otro día, en la audiencia del miércoles, atrás de una valla había una joven mamá con su niño de pocos meses. Cuando pasé, el niño lloraba mucho. La mamá lo acariciaba. Le dije: “Señora, creo que el pequeño tiene hambre”. Ella respondió: “Sí, ya es hora…”. Y le dije: “¡Pero dele de comer, por favor!”. Ella tenía pudor, no quería amamantarlo en público, mientras pasaba el Papa. Entonces quisiera decir lo mismo a la humanidad: ¡den de comer! Esa mujer tenía la leche para su niño, en el mundo tenemos suficiente comida para que coman todos. Si trabajáramos con las organizaciones humanitarias y lográramos ponernos todos de acuerdo para no desperdiciar comida, mandándola a los que la necesitan, contribuiríamos mucho para resolver la tragedia del hambre en el mundo. Quisiera repetir a la humanidad lo que dije a aquella mamá: ¡den de comer a los que tienen hambre! Que la esperanza y la ternura de la Navidad del Señor nos sacudan de la indiferencia.

Algunos pasajes de la “Evangelii gaudium” le granjearon las acusaciones de los ultra-conservadores estadounidenses. ¿Qué siente un Papa cuando escucha que lo definen “marxista”?

La ideología marxista está equivocada. Pero en mi vida he conocido a muchos marxistas buenos como personas, y por esto no me siento ofendido.
Las palabras que más han sorprendido son las palabras sobre la economía que «mata»…

En la Exhortación no hay nada que no se encuentre en la Doctrina social de la Iglesia. No hablé desde un punto de vista técnico, traté de presentar una fotografía de lo que sucede. La única cita específica fue sobre las teorías del “derrame”, que suponen que todo crecimiento económico, favorecido por la libertad de mercado, logra provocar por sí mismo mayor equidad e inclusión social en el mundo. Se prometía que, cuando el vaso hubiera estado lleno, se habría desbordado y los pobres se habrían beneficiado. En cambio sucede que, cuando está lleno, el vaso, por arte de magia, crece y así nunca sale nada para los pobres. Esta fue la única referencia a una teoría específica. Repito, no hablé como técnico, sino según la Doctrina social de la Iglesia. Y esto no significa ser marxista.


Usted anunció una «conversión del papado». ¿Los encuentros con los patriarcas ortodoxos han sugerido alguna vía concreta?

Juan Pablo II habló de manera muy explícita sobre una forma de ejercicio del primado que se abra a una situación nueva. Pero no sólo desde el punto de vista de las relaciones ecuménicas, sino también en las relaciones con la Curia y con las Iglesias locales. En estos primeros nueve meses he recibido las visitas de muchos hermanos ortodoxos, Bartolomeo, Hilarion, el teólogo Zizioulas, el copto Tawadros; este último es un místico, entraba a la capilla, se quitaba los zapatos e iba a rezar. Me sentí su hermano. Tienen la sucesión apostólica, los recibí como hermanos obispos. Es un dolor no poder celebrar juntos todavía la eucaristía, pero la amistad existe. Creo que el camino es este: la amistad, el trabajo en común y rezar por la unidad. Nos bendijimos los unos a los otros; un hermano bendice al otro, un hermano se llama Pedro y el otro se llama Andrés, Marco, Tomás…

¿La unidad de los cristianos es una prioridad para usted?

Sí, para mí el ecumenismo es prioritario. Hoy existe el ecumenismo de la sangre. En algunos países matan a los cristianos porque llevan consigo una cruz o tienen una Biblia; y antes de matarlos no les preguntan si son anglicanos, luteranos, católicos u ortodoxos. La sangre está mezclada. Para los que matan somos cristianos. Unidos en la sangre, aunque entre nosotros no hayamos logrado dar los pasos necesarios hacia la unidad, y tal vez no sea todavía el tiempo. La unidad es una gracia que hay que pedir. Conocí en Hamburgo a un párroco que seguía la causa de beatificación de un sacerdote católico que fue guillotinado por los nazis porque enseñaba el catecismo a los niños. Después de él, en la fila de los condenados, había un pastor luterano y lo mataron por el mismo motivo. Su sangre está mezclada. Ese párroco me contó que había ido a ver al obispo y le había dicho: “Sigo con la causa, pero de los dos, no sólo del católico”. Este es el ecumenismo de la sangre. Todavía existe hoy, basta leer los periódicos. Los que matan a los cristianos no te piden el documento de identidad para saber en cuál Iglesia fuiste bautizado. Tenemos que tomar en cuenta esta realidad.


En la Exhortación apostólica usted invitó a tomar decisiones pastorales prudentes y audaces en cuanto a los sacramentos. ¿A qué se refería?


Cuando hablo de prudencia no pienso en una actitud paralizadora, sino en una virtud de quien gobierna. La prudencia es una virtud de gobierno. También lo es la audacia. Hay que gobernar con audacia y con prudencia. Hablé del bautismo y de la comunión como alimento espiritual para seguir adelante, y que se debe considerar como un remedio y no como un premio. Algunos pensaron inmediatamente en los sacramentos para los divorciados que se han vuelto a casar, pero yo nunca hablo de casos particulares: solo quería indicar un principio. Debemos tratar de facilitar la fe de las personas más que controlarla. El año pasado en Argentina denuncié la actitud de algunos sacerdotes que no bautizaban a los hijos de madres solteras. Es una mentalidad enferma.


¿Y en cuanto a los divorciados que se han vuelto a casar?

La exclusión de la comunión para los divorciados que viven una segunda unión no es una sanción. Hay que recordarlo. Pero no hablé de esto en la Exhortación.


¿Se ocupará de ello el próximo Sínodo de los obispos?

La sinodalidad en la Iglesia es importante: sobre el matrimonio en su conjunto hablaremos en las reuniones del Consistorio en febrero. Después el tema será afrontado en el Sínodo extraordinario de octubre de 2014 y también durante el Sínodo ordinario del año siguiente. En estas sedes se profundizarán y aclararán muchas cosas.


¿Cómo procede el trabajo de sus ocho “consejeros” para la reforma de la Curia?

El trabajo es largo. Quienes querían presentar propuestas o enviar ideas ya lo han hecho. El cardenal Bertello recopiló las opiniones de todos los dicasterios vaticanos. Recibimos sugerencias de los obispos de todo el mundo. En la última reunión los ocho cardenales dijeron que hemos llegado al momento de presentar propuestas concretas y en el próximo encuentro, en febrero, me entregarán sus primeras sugerencias. Yo siempre estoy presente en los encuentros, excepto el miércoles en la mañana por la audiencia. Pero no hablo, sólo escucho, y esto me hace bien . Un cardenal anciano me dijo hace algunos meses: “Usted ya comenzó la reforma de la Curia con la misa cotidiana en Santa Marta”. Esto me hizo pensar: la reforma empieza siempre con iniciativas espirituales y pastorales, antes que con cambios estructurales.


¿Cuál es la relación correcta entre la Iglesia y la política?


La relación debe ser al mismo tiempo paralela y convergente. Paralela, porque cada uno tiene su camino y sus diferentes tareas. Convergente, sólo para ayudar al pueblo. Cuando las relaciones convergen antes, sin el pueblo, o sin tomar en consideración al pueblo, comienza ese contubernio con el poder político que acaba pudriendo a la Iglesia: los negocios, los compromisos… Hay que proceder paralelamente, cada uno con el propio método, las propias tareas, la propia vocación. Convergentemente solo en el bien común. La política es noble, es una de las formas más altas de caridad, como decía Pablo VI. La ensuciamos cuando la usamos para los negocios. La relación entre la Iglesia y el poder político también puede corromperse, si no converge sólo en el bien común.


¿Puedo preguntarle si tendremos mujeres cardenales?

Es una frase que salió de quién sabe dónde. Las mujeres en la Iglesia deben ser valorizadas, no “clericalizadas”. Los que piensan en las mujeres cardenales sufren un poco de clericalismo.


¿Cómo procede el trabajo de limpieza en el IOR?

Las comisiones referentes están trabajando bien. Moneyval nos dió un informe bueno, vamos por el buen camino. Sobre el futuro del IOR, veremos. Por ejemplo, el “banco central” del Vaticano sería la Apsa. El IOR fue creado para ayudar a las obras de religión, a las misiones, a las Iglesias pobres. Luego se convirtió en lo que es ahora.

¿Hace un año se habría imaginado que la Navidad de 2013 la habría celebrado en San Pedro?


Claro que no.


¿Se esperaba que lo eligieran?

No, no me lo esperaba. No perdí la paz mientras aumentaban los votos. Permanecí tranquilo. Y esa paz todavía me acompaña, la considero un don del Señor. Al terminar el último escrutinio, me llevaron al centro de la Sixtina y me preguntaron si aceptaba. Respondí que sí, dije que me habría llamado Francisco. Sólo entonces me alejé. Me llevaron a la habitación contigua para cambiarme. Después, poco antes de asomarme, me arrodillé para rezar durante algunos minutos en compañía de los cardenales Vallini y Hummes en la capilla Paulina.


© Reservados todos los derechos 

viernes, diciembre 13, 2013

Dios mío, líbrame del martirio: yo quiero llevarme bien con todos

Cómo cambian los tiempos.


Leed. Un relato emocionante.



9.12.13

Un sacerdote especialmente incómodo para Hitler

A las 10:14 AM, por Alberto Royo
Categorías : HitlerPersecución religiosa

JAKOB GAPP, REVOLUCIONARIO EN SU JUVENTUD, AL LLEGAR EL MOMENTO “SUPO DÓNDE TENÍA QUE ESTAR”

La expresión es de Juan Pablo II, pronunciada en 1996 con ocasión de la beatificación de este religioso austríaco, y haciendo referencia a sus devaneos de juventud con las ideologías ateas que llegaron a subyugar su mente y su corazón inquieto -concretamente el comunismo- y su elección valiente cuando años después se le presentó la terrible disyuntiva de elegir entre otra ideología atea -en este caso el nazismo- y Dios, a pesar del peligro de muerte, que se hizo efectivo hace 70 años, en 1943.
Había nacido en Wattens, (Tirol austríaco) el 26 de julio de 1897, de una familia obrera pobre y cristiana, fue el último de siete hijos. Sacrificándose, sus padres le dieron todos los estudios posibles, pero en 1914, estalló la “gran guerra” y sus estudios se vieron truncados. En 1915 Italia atacó a Austria y Jakob con sus 18 años fue al frente de batalla, en el que fue herido, por lo cual sería condecorado con una medalla al valor. Al final de la contienda, derrotada su patria, fue hecho prisionero y sufrió nueve meses de cautiverio antes de regresar a casa en 1919. Aquellos meses, tras su regreso al hogar familiar, fueron amargos. En ellos la utopía marxista, sedujo su alma de joven generoso y lleno de deseos de justicia, alejándole de la práctica religiosa. Su madre, desolada al ver a su hijo alejado de Dios, rezaba y lloraba y, como una nueva santa Mónica, consiguió del Señor su conversión.
Tenía veintidós años y su conversión fue tan fuerte que decidió hacerse religioso, presentándose a los Marianistas, congregación fundada por Guillermo José Chaminade en 1817 y que tan ejemplarmente se dedicaba a la educación de la juventud. A los superiores Marianistas les dijo sin reparos que era socialista y quería ser sacerdote, pero ellos no se asustaron y supieron ver los valores y el potencial de este joven confuso: había nobleza, deseo de verdad, piedad… Poco a poco se fue purificando de ideologías, pero se quedó con lo esencial: el amor a la verdad, el deseo de justicia y un amor muy grande a los pobres.
Jakob comenzó su noviciado el 13 de agosto de 1920 y un año más tarde hizo sus primeros votos. Estudió y trabajó en Graz, en un colegio Marianista y posteriormente, durante cuatro años (1925-1930) cursó sus estudios teológicos en el seminario internacional Marianista y en la Universidad Católica de Friburgo de Suiza, ordenándose sacerdote el 5 de abril de 1930. Vuelto a su patria, durante varios años ejerció un intenso apostolado entre la juventud de varios colegios marianistas, pero eran años duros, de crisis social y de confusión ideológica por la fuerte instigación de los nazis alemanes, lo que hacía el trabajo apostólico especialmente difícil.
El plan del partido nazi para Austria era semejante al ejecutado en Alemania, pero allí no tuvieron la misma suerte. Se presentaron por primera vez en las elecciones generales de 1927, obteniendo únicamente 779 votos. El ascenso en las siguientes elecciones de 1930 no fue tan grande como se esperaba, llegando tan sólo al 3% de los votos posibles. En las elecciones que tuvieron lugar en 1932 en varios distritos austriacos, el partido nazi comenzó a recibir gran cantidad de votos, llegando a ser el segundo partido más votado. Siguiendo ese crecimiento, posiblemente el partido nazi hubiera conseguido algo en las siguientes elecciones generales, pero el canciller electo Engelbert Dollfuss, viendo el panorama, disolvió el parlamento en 1933 e instauró una dictadura.
Con Dollfuss en el poder en Austria, los acontecimientos para completar el plan nazi se complicaron, pues el canciller era un gran defensor del nacionalismo austriaco y un anti-alemán declarado, que llevó su régimen autoritario al máximo, ilegalizando al partido nazi y metiendo a todos sus miembros en la cárcel. Cuando la invasión de las tropas de Hitler era inminente en 1933, Dollfuss consiguió una alianza con el fascismo italiano que hizo recular a Hitler, ante el miedo de ganarse el descontento de su necesario aliado Benito Mussolini.
La situación en Austria se fue complicando con el paso de los meses. La presión de los socialdemócratas mediante protestas y atentados varios convirtieron el corto mandato de Dollfuss en un infierno, que encontró su final en un alzamiento del partido nazi que, aprovechando la coyuntura, quiso hacerse con el poder mediante un golpe de estado el 25 de julio de 1934. La falta de colaboración de la armada austriaca frustró el golpe de estado, pero con él se llevaron la vida de Dollfuss.
El poco apoyo popular que tenían los nazis en Austria y el hecho de que los socialistas y demócratas vieran en el Austrofascismo un mal menor que el nazismo permitieron que tras Dollfuss llegase otro canciller, Kurt Schuschnigg, que mantuvo el mismo régimen. Pero en esta ocasión, Hitler y su partido decidieron no quedarse de brazos cruzados. En los cuatro años siguientes los nazis pusieron a Austria al borde de la guerra civil. Hitler presionó de forma continua con la anexión de Austria a Alemania, mientras tanto su partido extorsionó a la nación mediante continuos atentados que se cobraron la vida de más de 800 austriacos. El desempleo a causa de la gran recesión y los éxitos conseguidos por el partido nazi en Alemania hicieron que poco a poco el partido fuera ganando poder e influencia en Austria entre las clases más afectadas por el desempleo y la pobreza.
El P. Jakob llevaba a sus alumnos a los barrios más pobres para que tomasen conciencia de la situación de los numerosos obreros en paro. El auge de las ideas nazis entre la juventud austríaca le preocupaba y, sobre todo, el hecho de que Hitler no ocultaba su deseo de anexionar Austria al “Gran Reich”. Por eso se alegró grandemente cuando en 1937 la encíclica de Pío XI, “Mit Brennender Sorge”, condenó las doctrinas nazis. Pero en 1938 se consumó el proyecto de Hitler: El 12 de febrero, cuando la situación en Austria era insostenible, el canciller alemán solicitó una reunión con Schuschnigg. En esa reunión Hitler expuso claramente aquello por lo que había luchado durante tantos años mediante la extorsión. Quería amnistía y cargos gubernamentales para todos los nazis retenidos en las cárceles austriacas y una anexión total de Austria, haciendo especial hincapié en la lealtad del ejército austriaco y en la supresión de aduanas.
A su vuelta a Austria, Schuschnigg cedió en parte, liberó a todos los presos nazis, pero propuso un referéndum nacional para la adhesión de Austria como una provincia más de Alemania. Hitler, al enterarse de las intenciones de Schuschnigg, ordenó a los nazis austriacos que causasen el caos completo en el país. Entre el 10 y el 11 de marzo, todas las grandes ciudades austriacas -Linz, Innsbruck o Viena- se sumieron en el caos a causa de multitud de incendios, saqueos y destrucción de edificios. Mientras tanto, Hitler comenzó la invasión pacífica de Austria. El gobierno austriaco buscó ayuda en otras grandes potencias europeas como Francia o Gran Bretaña, pero ningún país mostró la mínima intención de intervenir por miedo a un gran conflicto internacional. Menos de una semana después de que Schuschnigg hubiera anunciado referéndum que nunca se llevó a cabo, Hitler ya había llegado con sus tropas a Viena, donde declaró la anexión de Austria ante 250.000 simpatizantes locales.
En apenas unas semanas, para legitimar sus acciones llevadas a lo largo de aquel marzo de 1938, Hitler anunció un plebiscito en el que preguntó a los votantes austriacos si le aceptaban como líder y si aceptaban la adhesión de Austria al Tercer Reich. El proceso estuvo cargado de trabas a los votantes para conseguir su objetivo. Además de la poca subjetividad mostrada en la papeleta, donde el círculo grande representa el Sí y el círculo pequeño representa el no, no existió el voto secreto, ya que la papeleta debía ser rellenada delante de los oficiales de las SS entregándosela más tarde en sus manos. El censo también excluyó a un 10% de los votantes, entre los que se incluían judíos, comunistas y todos aquellos que pudieran plantearse el voto en contra. Por todo ello el resultado de la votación no trajo ninguna sorpresa: un 99,73% del electorado optó por el sí, legitimándose así el Anschluss.
Con la invasión alemana, los colegios marianistas fueron confiscados y a los religiosos les tocó ganarse la vida como pudieron. Al P. Jakob lo aceptaron en Reutte, como docente de religión en una escuela oficial rural, pero su docencia en aquella escuela duró poco porque le denunciaron y le apartaron de la enseñanza por haber dicho a sus alumnos que había que amar a los judíos. La Gestapo comenzó a seguirle los pasos, trabajó en el campo, ayudó en las parroquias. El 11 de diciembre de 1938, en la iglesia de Wattens, su pueblo, en una homilía clamorosa, denunció la campaña que los nazis habían emprendido en contra del Papa. Había espías de la Gestapo en la iglesia y a punto estuvieron de arrestarlo, pero se pudo librar en aquella ocasión. Visto el peligro que corría, sus superiores le hicieron huir a Francia, desde donde pasó a España en mayo de 1939.
La Guerra Civil española había terminado y, recuperada la libertad de la Iglesia, los marianistas, que querían volver a poner en marcha sus obras, dieron la bienvenida a varios religiosos austríacos. En tierras españolas, el P. Jakob, para hacerse más cercano, tradujo su nombre y se hizo llamar P. Santiago, fue profesor y capellán en los colegios de San Sebastián y Valencia, donde tuvo algunas dificultades con los hermanos de comunidad por su carácter fuerte y su estilo un poco revolucionario en comparación con los religiosos españoles de la época. Sufrió con las noticias que le llegan de Austria y sentía la nostalgia de la patria ausente y entregada a una sistemática descristianización, como confirman las cartas que escribió en aquellos años, que a su vez hablan de grandes deseos de santidad: “La vocación del sacerdote no consiste hoy en hacer hermosos discursos, sino en sufrir y en morir por amor de Dios, de Cristo, de la causa católica, de la patria.”
En Valencia, donde celebraba la misa dominical para los residentes alemanes, denunció la incompatibilidad del nazismo con la fe cristiana y les habló claramente de la persecución y de los errores nazis… Pero las noticias de sus predicaciones llegaron hasta Alemania y la Gestapo decidió acallar esta voz incómoda. Dos agentes nazis se hicieron pasar por judíos huidos de Berlín querían convertirse. El padre Jakob accedió a catequizarlos durante varios meses. A sus hermanos Marianistas aquellos dos hombres no les gustaron y le dijeron que no se fiase de ellos, pero él hizo caso omiso: creía en su sinceridad y pensaba que su deber sacerdotal era atenderlos. En el proceso de Beatificación, alguno de los consultores argüirá que el padre Santiago pecó por imprudencia al no escuchar a sus hermanos de comunidad. Pero lo que no sabían los marianistas de entonces, ni tampoco los consultores de la Causa (se descubrió después del proceso vaticano) es que esos presuntos judíos le fueron presentados en casa de un sacerdote alemán que de pronto apareció por Valencia y en el que el P. Jakob confió del todo. Ganada la confianza del religioso, ellos le propusieron un viaje al norte, a San Sebastián, donde tenía amigos. La proposición tenía trampa; le hicieron pasar a Hendaya, a la Francia ocupada, donde fue inmediatamente arrestado por la Gestapo. Era el mes de noviembre de 1942.
El P. Jakob atravesó Francia para ser encarcelado en Berlín. No lo enviaron a ningún campo de concentración, le hicieron un juicio exhaustivo con dos largos interrogatorios, -más de 30 páginas de actas-, en los que quisieron hacerle confesar culpas políticas, pero no cayó en la trampa: “Mi deber propio como sacerdote católico, era alertar a los creyentes sobre lo peligroso que es el nacionalsocialismo para el catolicismo”. Uno de los miembros del tribunal, que después declaró en el proceso de Beatificación, afirmó que el texto de los interrogatorios, firmado libremente por el P. Jakob, fue a parar al despacho de Himmler, el jefe supremo de la Gestapo, que exclamó: “Con un millón de hombres como Gapp, pero de nuestra ideología, dominaríamos el mundo”. Se han conservado las actas de los interrogatorios, en los que el religioso Marianista defendió con firmeza su fe católica y su deseo de mantenerla con coherencia, con amor, plenamente consciente de que podría perder su vida con su actitud de creyente convencido.
Todo lo referente a su detención y procesamiento no deja de ser misterioso: Ante todo, ¿por qué la policía secreta alemana tuvo tanto empeño en acallar una voz que, en la práctica, tenía muy poco alcance al estar en España? Y por otro lado, ¿por qué, una vez detenido, se le hizo un interrogatorio y un juicio tan minuciosos, en vez de enviarle directamente a un campo de concentración, a Dachau por ejemplo, donde en aquellos momentos había encerrados unos 3.000 sacerdotes y religiosos? Son cuestiones difíciles de responder sobre las que se barajan distintas hipótesis, como la del castigo público y ejemplar para disuadir a otros sacerdotes de la posible resistencia al régimen, cosa que en lo escondido de un campo de concentración no se conseguiría del mismo modo.
Fue condenado a muerte y la ejecución de la sentencia quedó fijada para el 13 de agosto de 1943 (este años hemos cumplido 70 años de su muerte), el día del aniversario de su ingreso al noviciado de los marianistas. Antes de morir pudo escribir dos breves cartas, una a sus primos y otra a su superior. En ellas se descubre la sencillez, el valor y la fe propia de tantos mártires de ayer y de hoy. A sus primos les decía, entre otras cosas, lo siguiente: “Hoy será ejecutada la sentencia. A las 7 me presentaré a mi buen Salvador, a quien siempre amé ardientemente. No lloréis por mí. Soy plenamente feliz. Sin duda que he pasado muchas horas en la tristeza, pero he podido prepararme a la muerte del mejor modo posible. ¡Buscad vivir santamente y soportad cualquier cosa por amor de Dios, para que podamos reencontrarnos en el cielo! Saludad a todos, parientes y conocidos. En el paraíso me acordaré de todos”.
En la carta que dirigió a su superior religioso, escrita el mismo día de su ejecución, expresaba ideas parecidas. “He pasado por momentos realmente difíciles, pero ahora soy plenamente feliz. Creo que todo esto me ha ocurrido para que pueda santificarme en este tiempo de pruebas. ¡Salude de mi parte a todos los hermanos! Yo saludaré a los que ya han pasado a la otra vida. Todo pasa, sólo el cielo permanece”.
El 24 de noviembre de 1996, en su ceremonia de Beatificación, Juan Pablo II dijo, entre otras cosas: “El padre Jakob Gapp dio su testimonio con la fuerza de la palabra intrépida y la convicción profunda de que no podía existir ningún acuerdo entre la ideología pagana del nacionalsocialismo y el cristianismo. Vio, con razón, en este conflicto una lucha apocalíptica. Sabía en cuál de las dos partes tenía que estar y, por eso, fue condenado a muerte.”

viernes, diciembre 06, 2013

Los abortistas matan y mienten

Leed con sentido crítico este artículo (Emol). 

Ahí está todo claro: los dramas del aborto eran, casi siempre, un proyecto de vida. Mira tú, matar para proyectarte. Son 5000 abortos al año, y dicen que 7500 nacimientos. Una masacre. Legal. Y dicen que los provida somos exagerados. El homicidio es uno de los pecados que clama al cielo, y, aunque los cobardes callen, nosotros seguiremos pidiendo a Dios que haga justicia. . 



A un año de la ley de aborto en Uruguay se practican 425 al mes

Mujeres que se hacen abortos aducen querer mantener su proyecto de vida.

DPA
Lu. 02 de diciembre de 2013, 09:28
Archivo

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MONTEVIDEO.- La cantidad de abortos en Uruguay bajo la ley que un año atrás legalizó esa práctica médica ronda los 425 casos al mes, en promedio, y en la mayoría de los casos las mujeres aducen la intención de preservar su "proyecto de vida" como justificación, según datos oficiales conocidos hoy en Montevideo. 

La ley de despenalización entró en vigor el 3 de diciembre de 2012 y obligó a todas las instituciones de asistencia médica del país a asesorar y practicar el aborto a las mujeres que lo soliciten dentro de las primeras 12 semanas de gestación, entre otras cosas. 

En su primer mes de aplicación los abortos legales fueron 200, pero luego la cifra se aceleró: hubo 2.550 en total en los últimos seis meses, es decir un promedio mensual de 425. 

La población total de Uruguay es de 3,395 millones de personas, según cifras del Banco Mundial. En el Hospital Pereira Rossell, donde se producen la mayoría de los partos en Uruguay (unos 7.500 al año), el 60 por ciento de las mujeres que abortaron bajo la nueva ley alegaron que lo hicieron para preservar su "proyecto de vida". 

Mónica Gorgoroso, coordinadora del µrea de Implementación de Servicios y Políticas Públicas-Iniciativas Sanitarias del Hospital Pereira Rossell, dijo que el "proyecto de vida" como motivo principal es común a todas las edades y sectores socioeconómicos.

"Puede ser un proyecto laboral o profesional. Eso es lo más común", agregó, citada hoy por el diario "El País" de Montevideo. 

Otro 30 por ciento adujo razones económicas, el 13 por ciento que no tenía pareja, el siete por ciento que ya tenía muchos hijos, el tres por ciento por motivos de salud, el uno por ciento porque el embarazo se había producido por violencia sexual y el 0,3 por ciento por malformación fetal, según las estadísticas de ese hospital público. 

Las autoridades sanitarias uruguayas reconocen que hay desconocimiento de la ley y que aún se siguen practicando abortos clandestinos en el país. 

Los promotores de la despenalización señalaron durante la discusión legislativa de la norma que en Uruguay se practicaban unos 30.000 abortos clandestinos al año bajo condiciones muchas veces de riesgo, sobre todo para mujeres de escasos ingresos. 

Esta ley genera controversia en Uruguay. Pocos días después de su promulgación organizaciones sociales -en especial las religiosas- y agrupaciones políticas de la oposición lanzaron una campaña de recolección de firmas para convocar a un referéndum para derogarla, pero la convocatoria fracasó.